lunedì 16 giugno 2008

Il derby del Crucchistan



22 uomini in campo e circa 40.000 spettatori: così tanti crucchi nello spazio di 50 metri non si vedevano dal set di Schindler’s List. Ma Austria - Germania è stato soprattutto questo: il grande duello della Nazione Ariana.

Già solo la lettura delle formazioni sembrava qualcosa a metà tra “Roma città aperta” e una lezione sulla filosofia ottocentesca. Basti dire che la Germania schierava in difesa Weltanschaung, Lebensraum, Gestalt e Kristalnacht.

Il primo tempo ha mostrato quello che ci si aspettava. La Germania, cui bastava il pareggio per passare il turno, schiccherava passaggetti a centrocampo; l’Austria, costretta a vincere, provava ad attaccare, limitata però dal problema di avere l’attacco più ridicolo degli ultimi 50 anni (come già visto contro la Polonia).

Ma l’occasione più ghiotta capita al tedesco Gomez, che si vede recapitare da Klose una palla d’oro a trenta centimetri dalla porta. Distratto però dai difensori austriaci, che si producono in fragoroso e improvviso yodel, l’attaccante cicca il pallone e lo sparacchia in alto.

A parte questo guizzo, la partita scorre noiosa come una sinfonia di Stockhausen. I giocatori sembrano abbastanza appesantiti: evidentemente mangiare così tante patate non facilita la corsa e lo scatto.

Ma l’impensabile avviene al 40’ minuto. A bordo campo gli allenatori delle due squadre, Fritz e Péter, vengono a contatto e hanno un diverbio su quale sia la migliore marca di cetrioli in salamoia. Il fatto che entrambi siano alla quarta birra non facilita la calma e l’arbitro si vede costretto a espellerli. L’ultima volta che la Germania si era trovata senza un capo era stato nelle 24 ore tra il suicidio di Hitler e la presa del Reichstag da parte dei sovietici. Quanto all’Austria, il ruolo di ct viene ricoperto temporaneamente dal nonno di Heidi.

Nella ripresa ecco l’Anschluss: dopo pochi minuti la Germania passa in vantaggio grazie a un poderoso tiro di Ballack (il cui nome è preso da un famoso disco dei Sex Pistols). Il centrocampista del Chelsea festeggia correndo per il campo e urlando “Ein volk, ein land, ein fuhrer”. Sugli spalti invece grande esultanza da parte del presidente Angela Merkel, che per motivare i suoi aveva promesso di spogliarsi in caso di vittoria dell’Austria.

Nonostante il rischio, gli austriaci cercano di reagire sostituendo Altertumwissenschaft con Weltuntergangstimmung, ma la Germania è troppo solida in difesa. La partita diventa una sfida di tatticismo. Il vice allenatore tedesco, infatti, che segue una filosofia hegeliana di calcio, estrae la tattica da idee generali che sono dentro di sé e ordina il catenaccio; quello austriaco, più ancorato alla tradizione freudiana, giunge alla conclusione che la sua squadra potrà pareggiare soltanto una volta che avrà sciolto il conflitto interiore dovuto al trauma infantile dell’abbandono; quindi perde ogni speranza.

Difatti speranza non ce n’è. Non succede nient’altro e la partita finisce 1-0. Passano il turno la Germania e la Croazia che, già qualificata, ha battuto 1-0 la Polonia.

I tifosi tedeschi, contentissimi, hanno festeggiato tutta la notte con un terzo tempo a base di wurstel, senape e pogrom. E qui mi fermo, avendo esaurito i luoghi comuni. Restavano in verità ancora l’Oktoberfest e la calata dei lanzichenecchi, ma non ho trovato lo spazio.

E se vi chiedete perché mi sono abbassato a così tanti stereotipi, andatevi a vedere la pubblicità su Toni l’italiano che circolava in Germania alla vigilia degli Europei.

Ora siamo pari. Tié!

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