lunedì 23 giugno 2008

Siamo così sicuri che internet sia un mezzo di comunicazione democratico?



Ho notato che l’argomento interessa, quindi vorrei condividere con voi alcune perplessità che ho riguardo alla Rete. Soprattutto se pensiamo al clima di generale entusiasmo che circola a proposito, tutta la retorica della “rivoluzione digitale” e della “democrazia dal basso”.

Sempre più gente ha infatti iniziato ad assumere un atteggiamento di profonda diffidenza verso i mezzi tradizionali come stampa e tv, e al contrario a fidarsi unicamente di internet come fonte di informazione. Come recita uno slogan caro ai più estremisti, “la Rete li seppellirà”.

Vi fornisco giusto qualche spunto di riflessione.

Internet non è più un mezzo di comunicazione giovane. Per quanto possa sembrarlo, per quanto si tenti di dare nuova linfa inventando concetti come il web 2.0, la Rete - nella sua forma più diffusa - ha quasi venti anni.
Venti anni sono un periodo sufficiente perché un fenomeno perda la sua originaria freschezza e “spontaneità” per essere inscatolato in teorie e in alto capiscano come manipolarlo. In fondo la televisione ha impiegato solo poco di più per passare dalle lezioni di grammatica degli anni ’60 alle ballerine scosciate degli anni ’80.

Quello che voglio dire è che, contrariamente a quello che si dice, il fenomeno della Rete non è più qualcosa di spontaneo.
A uno sguardo superficiale si può essere portati a credere che sia uno strumento che dà a tutti voce e possibilità di essere ascoltati. Nei fatti dà sì voce a tutti, ma la fetta più grossa di pubblico è destinata a pochi. Una persona che si accosti per la prima volta a internet, magari aprendo un blog, potrebbe pensare che basti una buona idea e un po’ di costanza per conquistare lettori. La realtà è ben diversa.

Dietro il successo dei siti più frequentati c’è innanzitutto un investimento in denaro. Provate a scorrere la lista dei blog di Technorati: al primo posto troverete Arianna Huffington, giornalista miliardaria grazie a un fortunato divorzio, al secondo Michael Arrington, imprenditore del ramo informatico, il terzo è a cura della società multinazionale di comunicazione NetMediaEurope e così via. D’altronde quello italiano più celebre, il blog di Beppe Grillo (attualmente al 17esimo posto), è stato creato da uno che all’atto della fondazione fatturava attorno ai 2 milioni di euro annui.

A cosa serve tutto questo denaro? A varie cose. Aprire una redazione in cui far lavorare della gente (pensate davvero che i curatori scrivano tutti gli articoli?); ingaggiare esperti di grafica e programmazione; pagare decine e decine di moderatori (sul cui operato diremo più avanti); pagare la parcella ai consulenti di comunicazione che elaborano il piano di marketing.

Quindi prima conclusione: internet non è un mezzo che offre a tutti le stesse possibilità di base. Per emergere, come in tanti altri campi, occorrono mezzi non alla portata di tutti. Certo più economici che fondare una rivista, ma in ogni caso non comuni.

Ma fosse soltanto questo. Dicevamo degli esperti di marketing. Sono sempre di più le agenzie che offrono questo tipo di servizio: elaborare un piano strategico per riuscire a spingere un sito. Non tutti hanno l’onestà di ammettere questa consulenza; alcuni, quando la notizia inizia a circolare, minimizzano.

Eppure è su questo piano che si decreta il successo di un’iniziativa su internet. E’ una questione di marketing, oramai studiato a fondo e sviscerato in tutte le sue sfaccettature. Come vendere una saponetta.

Con una differenza, però. La pubblicità in tv si rivolge a un pubblico passivo, lo raggiunge contro la sua volontà, spesso annullata dal cambio di canale.
Lo spot in Rete, invece, è lui a trovare te e farsi veicolare anche senza che tu te ne accorga. Ti arriva sulla posta in veste di forward a scopo umanitario, si attacca al tuo sito sotto sembianze di un privato disinteressato che lascia un commento al tuo blog; oppure sei tu senza pensarci a ospitarlo, mettendo nella tua sidebar il codice per il bannerino così simpatico e che ti era piaciuto tanto.

E’ per questo che si parla di messaggio virale (appunto, “viral marketing”). Perché come un virus si diffonde attraverso tanti portatori sani. Come se inserissimo lo spot del Glen Grant nel filmino delle nostre nozze...
Ed è questa la vera forza e la vera pericolosità della Rete al giorno d’oggi. Quasi nulla di quello che accade ha qualcosa di spontaneo, eppure fa sempre in modo di sembrare un’iniziativa popolare, “dal basso” appunto. Come il diavolo di certe fiabe medievali che cerca di convincerti che non esiste.

Va bene” direte voi “in fondo non è da tutti impiantare delle iniziative, e ci sta che solo pochi ci riescano. Però c’è sempre l’interattività, le discussioni, i forum, i commenti. E’ quello il vero terreno della democrazia dal basso”.

Vero e falso allo stesso tempo. C’è un forte limite a tutto questo, ed è l’anonimato.
Poter parlare senza svelare la propria identità, addirittura con la possibilità di assumerne più d’una, e farsi passare per qualcun altro, tutto questo non ha niente a che vedere con la democrazia. E’ una forma di anarchia in cui sono destinati a sopravvivere solo quelli che si fanno meno scrupoli.

Alle elezioni, in fondo, vale il principio “un cittadino, un voto”. In Rete invece è possibile tutto.

Compresa una gestione sempre più disinvolta dei commenti ai blog da parte di utenti e moderatori.
Perché dovremmo fidarci, se non possiamo mai avere la certezza che chi parla è davvero lui e lo fa per disinteresse?
Potrebbe essere un troll rompicoglioni. Potrebbe essere un troll pagato da un’azienda rivale per seminare zizzania. Potrebbe essere un moderatore che si finge un utente per indirizzare la conversazione. Potrebbe essere CHIUNQUE.
E perché, poi, quel tale commento è stato cancellato? Più passa il tempo, più i moderatori si trasformano in cani da guardia del Padrone. E il risultato è che le discussioni non sono uno specchio fedele delle opinioni della gente.

Naturalmente questo non avviene nei siti meno frequentati. Ma sono - appunto - meno frequentati e quindi non costituiscono un pericolo. Denunciare l’abuso di un famoso blogger su un sito dal basso numero di visite è come non farlo. Anche ammesso che qualcuno ti legga, non riterranno credibile la notizia. Perché ormai la credibilità si misura in... pagerank.

In conclusione, questa la mia tesi: internet non è più - ammesso che lo sia stato - un mezzo di comunicazione “innocente”. Non è più democratico o degno di fiducia della stampa e della televisione. Anzi, presenta se possibile dei rischi maggiori.

Nessun catastrofismo, per carità. Se uno sa a cosa va incontro è in grado comunque di non farsi abbagliare. Ma non pensate che gli utenti dovrebbero sapere queste cose?


A proposito di marketing virale
passaparola

1 commento:

Anonimo ha detto...

IN effetti parliamo di democrazia ma siamo nel regno più assoluto della demagogia e la rete non è da meno... a propostito .. sono ancora aperte le liste per candidare Zeni alle prossime consultazioni? il fan club di Siena ha trovato altre ottime motivazioni ... e NON sto facendo il cane da guardia grrrrrr :-)